Paralisi cerebrali infantili 3 – Logica degli approcci.
La SIMFER (Società Italiana Di Medicina Fisica e Riabilitativa) e la SIMPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) hanno assunto per le Paralisi Cerebrali Infantili la definizione introdotta da Rosenbaum nel 2006 (https://www.sinpia.eu/atom/allegato/1298.pdf):
“La paralisi cerebrale infantile (PCI) è definita come un gruppo di disturbi permanenti dello sviluppo del movimento e della postura, che causano una limitazione delle attività, attribuibili ad un danno permanente (non progressivo) che si è verificato nell’encefalo nel corso dello sviluppo cerebrale del feto, del neonato o del lattante. I disturbi motori della PCI sono spesso accompagnati da disturbi sensitivi, sensoriali, percettivi, cognitivi, comunicativi, comportamentali, da epilessia e da problemi muscoloscheletrici secondari” (Rosenbaum et al., 2006).
Da questa definizione è abbastanza semplice intuire che i quadri che si possono presentare sono molto vari.
Inoltre, quando il sistema nervoso è danneggiato, in particolare per la sfera motoria, cerca di inventare e instaurare strategie in grado di compensare, per quanto possibile, il danno, in modo da poter compiere quanti più movimenti possibili tra quelli che reputa necessari.
Esemplificando, in un bambino o un adulto, se una gamba funziona male, il suo utilizzo non sarà semplicemente il risultato di una mancanza di funzione, ma la somma della mancanza di funzione più la strategia che il Sistema Nervoso Centrale (SNC) si è inventato per riuscire ugualmente a camminare.
Dunque, quando una parte del SNC è danneggiato, il risultato non sarà mai solo l’effetto del danno, ma la somma del danno e del suo tentativo di compenso.
Compenso non sempre significa qualcosa di positivo. La strategia inventata può essere efficace, ma, nel tempo può risultare lesiva, ad esempio per l’articolazione, o per altre parti del corpo in vario modo coinvolte.
Ugualmente, quando si interviene per cercare di recuperare almeno in parte una funzione, il risultato sarà ancora la somma dei nostri tentativi più l’elaborazione svolta dal SNC o, se si preferisce, l’interpretazione che il SNC ha dato di questi tentativi.
Si comprende ora, forse più facilmente, come il il ruolo della fisioterapia sia in fondo incoraggiare, attivare strategie compensative, guidando il sistema nervoso verso programmi motori efficaci, ma il meno possibile, o per nulla, dannosi.
Questa grande varietà di sintomi e strategie fa sì che ogni paziente vada in realtà considerato come una storia a sé e, anche partendo da situazioni iniziali apparentemente identiche, lo stesso intervento terapeutico può avere effetti diversissimi, a causa dell’interpretazione che il SNC ne viene a dare.
Molto (ma molto) schematicamente, possiamo riconoscere 3 tipi di terapie. Due vanno ad agire sugli attuatori (le strutture che attuano i comandi del SNC: muscoli, tendini, legamenti e ossa) uno vuole agire sulle strategie, cioè sul SNC.
Le prime due sono una farmacologica ed una chirurgica.
1- La farmacologia, principalmente (ma certo non in maniera unica) rappresentata dall’utilizzo del Botox, diviene particolarmente importante in situazioni di forte spasticità, ma richiede somministrazioni periodiche e con il tempo può perdere la sua efficacia. Controversa e non ancora completamente chiarita una possibile azione del Botox anche su strutture diverse dai muscoli su cui si vuole agire, incluso il SNC (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27586162) aspetto non necessariamente potenzialmente negativo, come alcuni studi esplorano (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24576870).
2- La chirurgia, dopo anni in cui era considerata come un rimedio estremo, non privo di rischi, ha fatto importanti passi in avanti, sia nell’allungamento dei tendini (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26248760), sia nella rizotomia (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27757432 ), il taglio altamente selettivo di alcune vie nervose, la cui invasività si è drasticamente ridotta. Rimane una pratica chirurgica e la selezione del paziente per tale approccio è particolarmente rigorosa.
Gli interventi di chirurgia ortopedica funzionale sono a volte indispensabili, sia per ridurre il dolore, se presente, sia per evitare importanti danni alle articolazioni, a volte sottoposte ad ingenti forze dai muscoli spastici. Queste intense contrazioni muscolari possono, infatti, con il tempo creare deformazioni ossee rilevanti, complicando fortemente la situazione. Si tratta di interventi minimamente invasivi, ma pur sempre di interventi, vanno quindi dosati in base al quadro, all’entità della spasticità e all’età e alla crescita del bambino, allo scopo di ottenere risultati ottimali che non abbiano bisogno di ulteriori azioni.
Sono interventi di tipo ortopedico, ma è bene precisare che si tratta di interventi mirati non a rimettere a posto un singolo osso fratturato, ma a recuperare una complessa funzione neuromotoria. Inoltre, parliamo di bambini. Ecco quindi che in questi casi si tratta di un approccio altamente multidisciplinare, significativamente diverso dalla comune ortopedia.
Rientrano in questo approccio oltre agli ortopedici, i neurofisiatri e i neuroriabilitatori, i radiologi, i tecnici dell’analisi del passo e dell’ortopedia e, tutt’altro che ultimi, i neurpsichiatri infantili e gli psicologi.
Una buona descrizione di questo complesso approccio è presentata dall’Istituto Ortopedico Rizzoli.
3- La fisioterapia rappresenta la procedura di gran lunga più praticata. La fisioterapia punta a modificare la strategia motoria escogitata dal SNC, oppure a far sviluppare una strategia motoria al SNC per consentire un aumento di autonomia del soggetto.
Quindi si tratta di una varietà di pratiche mirate ad agire attraverso l’esercizio sul SNC, inducendone i comportamenti auspicati.
Come si è detto, il SNC “interpreta” tali interventi, si tratta dunque, sotto molti aspetti, di un vero dialogo tra l’operatore e il SNC del paziente. Si tratta e si deve trattare di un dialogo in entrambe le direzioni: gli esercizi proposti vengono “letti” dal SNC che si orienta verso una nuova strategia motoria di cui l’operatore si deve rendere conto, assecondandola o correggendola.
Per questa ragione, le metodiche riabilitative sono moltissime: tante modalità per cercare di instaurare un dialogo con il SNC. In un soggetto alcune, inefficaci su un altro, possono essere assolutamente produttive: il singolo soggetto può accettare con facilità alcuni esercizi e rifiutarne altri, per ragioni ancora meno chiare un SNC può interagire bene con una metodica ed essere chiuso ad un’altra.
La fisioterapia, attraverso l’esercizio e la sua ripetizione, punta a modificare, “condizionare” le reti nervose. La procedura da un punto di vista neurofisiologico si definisce “condizionamento operativo”: il SNC impara facendo, operando. Richiede molto tempo e applicazione da parte del paziente, perché, alla fine l’azione sul SNC è indiretta, e si attua attraverso la ripetizione dell’esercizio.
Nell’ambito delle procedure riabilitative, la vibrazione meccanica focale, applicata secondo la metodica utilizzata dal Cro®system si basa su un meccanismo di condizionamento delle reti nervose. Probabilmente a quanto ne sappiamo si tratta di più di un meccanismo, uno tuttavia appare dominante: la procedura di tipo “associativo”. In quest’ultima l’azione sulle reti nervose non è indiretta (come nella riabilitazione tradizionale), ma diretta, quindi molto più rapida e più incisiva.
Anche questa procedura tuttavia si scontra con dei limiti (più diffusamente trattati nella pagina “Limiti”). Tra questi ci sono sicuramente la capacità del singolo SNC di modificarsi (capacità plastica) e la possibilità che la modifica possa compensare il difetto.
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